Un Fossile di Balena

Ultima modifica 29 marzo 2021

Tutte le volte che guardava quel grosso pietrone rimaneva un po’ perplesso. Diversi anni prima la famiglia Lelli aveva fatto dei lavori in fondo alla vigna, nella zona di San Zio, ed era stata trovata quella grossa pietra, che poi era stata portata a casa, messa in giardino e usata come sgabello.

Una sera a casa Lelli capitò il Comandante dei Vigili Urbani Fernando Sani, e nel parlare gli fu mostrato quell’oggetto che ai loro occhi era sempre apparso un po’ strano. Il comandante si rese subito conto che non era una pietra e pensò bene di interpellare Francesco Asso, ingegnere di Poggio Tempesti che di “cose antiche” se ne intendeva parecchio. Questi si recò subito a San Zio a visionare l’oggetto e confermò il sospetto avuto: la parte spugnosa e trabecolare che si intravedeva da alcune piccole spaccature era un osso e doveva appartenere ad un animale di dimensioni veramente grandi. Poteva essere un mastodonte o un antenato dei nostri elefanti, il mammut. Per dirimere la questione e togliere ogni dubbio ci voleva uno specialista. L’ingegnere pensò a Menotti Mazzini coordinatore della sezione di Geologia e Paleontologia dell’Università degli Studi di Firenze, e lo invitò a Cerreto nella primavera del 1993. Non appena vide il “pietrone”, costui disse che certamente si trattava di un osso di balena ed in particolare della parte distale della scapola, che si articola con l’omero.

La sorpresa e l’emozione furono grandi per tutti i presenti. Se si poteva immaginare un animale preistorico vagare sulle colline cerretesi, era veramente difficile pensare addirittura ad una balena nuotare nella valletta del “Rio Ganghereto”. Per di più, date le dimensioni del frammento osseo, il cetaceo, doveva essere lungo sui 25 metri e pesare diverse decine di tonnellate. Era dunque più grosso di quello i cui resti, anni dopo, sarebbero stati rinvenuti a Ponte a Elsa, stimato sui 15 metri, e di quello in ottime condizioni trovato a Orciano Pisano nel 2007 visibile presso il Museo Paleontologico di Firenze.

Emozionante è pensare che questa balena, alla fine del suo ciclo vitale, si è deposta sul fondale, ha nutrito in abbondanza molti suoi “contemporanei” fino a ridursi a scheletro, si è fossilizzata e poi frantumata fino a diventare terra: la terra delle nostre colline.


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